Avvocato
Andrea Cova
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Insidie stradali
Per diverso tempo si è discusso del fondamento giuridico della responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni prodotti dalle insidie stradali.
Sulla questione si sono fronteggiati diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, che hanno tentato di ricondurre questo tipo di responsabilità nell'alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. e in quella delle cose in custodia ex art. 2051 c.c.
Quest’ultima, nel tempo, ha finito per prevalere e la colpa della P.A. ex art. 2051 è presunta con tutte le evidenti implicazioni sul regime probatorio.
Cita infatti l’art. 2051 del Codice Civile: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato, salvo che provi il danno fortuito“.
Rispetto
all'orientamento precedente che poneva in capo al danneggiato il compito
gravoso di fornire la prova dell'elemento soggettivo, con l'inquadramento della
responsabilità della P.A. nella disciplina di cui all'art. 2051 c.c. si è
assistito ad una sorta di inversione dell'onere probatorio.
L'applicazione alla P.A. della disciplina della
responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha, infatti, carattere
oggettivo. Ne deriva che affinché la stessa possa configurarsi in concreto è
sufficiente che sussista il "nesso di causalità" tra la cosa in
custodia e il danno arrecato (a nulla rilevando, ai fini dell'esclusione, la
condotta del custode e l'osservanza o meno dell'obbligo di vigilanza e controllo,
ma solo la prova che il fatto dannoso sia riconducibile al caso fortuito).
Sul piano processuale ciò comporta che graverà sul danneggiato l'onere di fornire la prova dell'evento dannoso e del nesso eziologico tra la res e il danno subito, ovvero che "l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa" (Cass. n. 796372012), senza dover dimostrare l'elemento soggettivo, mentre la P.A., per esimersi dalla responsabilità, dovrà provare che l'evento lesivo sia stato prodotto a seguito del verificarsi di caso fortuito o che il comportamento del danneggiato abbia determinato l'effettiva possibilità del verificarsi del danno.
Per dimostrare la responsabilità della Pubblica Amministrazione, si deve anche fornire le prove dell’insidia o del trabocchetto, cioè occorre dimostrare che il pericolo non era prevenibile o evitabile.
Sia quando la giurisprudenza riteneva di dover applicare a queste fattispecie la regola generale della responsabilità per colpa, sia quando si è iniziato a considerare la PA come custode delle strade, si è infatti fatto riferimento al concetto di "insidia o trabocchetto", che ricorre in presenza di due presupposti congiunti:
- l'elemento oggettivo
della non visibilità del pericolo (paradossalmente una buca molto grande
potrebbe essere meno pericolosa dato che più visibile di una di dimensioni più
contenute)
- l'elemento soggettivo della non prevedibilità dello
stesso, secondo le regole della comune diligenza (v., ex multis, Cass. n.
5989/08; n. 7742/1997).
È fondamentale sotto questo profilo valutare anche il
comportamento dell'utente: se viene accertata la sua colpa, il diritto al
risarcimento potrebbe essere ridotto se non addirittura escluso.
In sostanza se il pericolo può essere facilmente
previsto e se risulta essere facilmente evitabile, una eventuale imprudenza di
chi transita sulla strada pubblica può diventare determinante nella
verificazione del danno.
La Corte Costituzionale sulla responsabilità ex art. 2051 c.c.
Un importante sentenza della Corte Costituzionale (n. 156/1999) è stata il primo "spartiacque", allorchè investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2043, 2051 e 1227, 1° comma, c.c. (in rapporto agli artt. 3, 24 e 97 Cost.), nel ritenere non fondata la questione, pur non offrendo una soluzione univoca, ha segnato l'abbandono del precedente orientamento affermando la possibilità di diverse soluzioni modulate sulla specificità del caso concreto, tra cui quella dell'applicazione dell'art. 2051 c.c. alla responsabilità della P.A.
La Cassazione sulla responsabilità ex art. 2051 c.c.
Successivamente
la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (sentenza 15383/2006) ha poi
chiarito un dubbio sull'applicabilità dell'art. 2051 a quei casi in cui la
notevole estensione del bene demaniale rendesse particolarmente difficile un
controllo efficiente. Fu per questo che la Suprema corte chiarì che la
presunzione di colpa non si potesse applicare se non risulta possibile esercitare
la custodia sul bene demaniale.
Come si legge nel testo della sentenza "la
presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all'art.
2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di
beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche,
non risulti possibile - all'esito di un accertamento da svolgersi da parte del
giudice di merito in relazione al caso concreto - esercitare la custodia,
intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del bene demaniale e
l'utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte di terzi, sotto tale
profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche
dell'impossibilità della custodia".
L'estensione del demanio stradale e l'uso generale e
diretto da parte della collettività non costituiscono però elementi
sufficientemente idonei ad escludere la possibilità di custodia da parte della
P.A., ma meri indici di cui il giudice dovrà tenere conto nella sua
valutazione, per cui la ricorrenza della custodia della P.A. dovrà essere
esaminata in virtù di una molteplicità di fattori ed elementi, quali le
caratteristiche delle strade, le dotazioni, i sistemi di assistenza e gli
strumenti che il progresso tecnologico di volta in volta appresta e che, in
larga misura, condizionano le aspettative della generalità degli utenti (Cass.
15383/2006).
Ad ogni modo, ove l'oggettiva impossibilità della
custodia renda inapplicabile la disciplina di cui all'art. 2051 c.c.,
l'amministrazione pubblica sarà comunque tenuta a rispondere dei danni causati
dai beni demaniali agli utenti della strada, secondo la regola generale di cui
all'art. 2043 c.c., "In questo caso graverà sul danneggiato
l'onere della prova dell'anomalia del bene demaniale (e segnatamente della
strada), fatto di per sè idoneo - in linea di principio - a configurare il
comportamento colposo della P.A. sulla quale ricade l'onere della prova dei
fatti impeditivi della propria responsabilità" (Cass.n. 15384/2006).
Il caso fortuito
Una volta dimostrato il
nesso di causalità tra la cosa e il danno, dunque, è sempre configurabile la
responsabilità del custode. Quest'ultimo può però dimostrare che l'evento
lesivo si è determinato a seguito del verificarsi del c.d. "caso
fortuito".
La Pubblica Amministrazione quindi può superare la
presunzione di colpa e può farlo anche dando la prova che la situazione di
pericolo è stata provocata dagli utenti o è insorta all'improvviso rendendo
impossibile un tempestivo intervento.
Anche nella disciplina di cui all'art. 2051 c.c.,
il comportamento del danneggiato può avere rilevanza sotto il profilo del
concorso di colpa e può in certi casi addirittura integrare una ipotesi di caso
fortuito.
Detto questo la Cassazione ha anche chiarito che il
carattere oggettivo della responsabilità ex art. 2051 c.c. fa sì che la stessa
sia fondata sulla relazione intercorrente tra il custode e la cosa e non su un
comportamento, un'attività o una particolare condotta, prudente o negligente,
dello stesso, per cui affinchè possa configurarsi in concreto è sufficiente che
sussista il nesso causale tra il bene in custodia e il danno arrecato (Cass. n.
8229/2010; 4279/2008; 28811/20008). Ad assumere rilievo nell'evento lesivo, in
sostanza, è la mera sussistenza del rapporto di custodia, quale "relazione
di fatto, e non semplicemente giuridica, tra il soggetto (custode) e la cosa,
che legittima una pronunzia di responsabilità ex art. 2051 c.c., fondandola sul
potere di governo della cosa".
E tale potere di governo si compone di tre elementi:
"il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la
situazione di pericolo creatasi, nonchè quello di escludere qualsiasi terzo
dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno"
(Cass. n. 5669/2010).
La condotta del danneggiato
Nell'accertamento
concreto della responsabilità della P.A. assume indubbio rilievo la condotta
del danneggiato.
Si parla in tal caso del principio di
autoresponsabilità degli utenti che discende dall'art. 1227 del codice civile.
In sostanza l'utente della strada è tenuto ad
adottare l'ordinaria diligenza richiesta al fine di evitare, o contribuire ad
evitare, l'avverarsi del pregiudizio.
Proprio per tali ragioni se un dissesto è visibile e
prevedibile l'utente ha il dovere di evitarlo.
Se c'è una colpa del danneggiato questa può
comportare una diminuzione del risarcimento o addirittura la perdita di ogni
possibile ristoro dei danni.
Come chiarisce la Corte, sia nell'ipotesi di
responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. che aquiliana ex art. 2043 c.c.,
secondo la giurisprudenza, "il comportamento colposo del soggetto
danneggiato nell'uso del bene demaniale esclude la responsabilità della P.A.,
se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa
del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa ai
sensi dell'art. 1227 c.c. comma 1, con conseguente diminuzione della
responsabilità del danneggiante in proporzione all'incidenza causale del
comportamento del danneggiato" (Cass. 15383/2006).
Il principio di autoresponsabilità
Gli utenti della strada
sono gravati pertanto, coerentemente al c.d. "principio di
autoresponsabilità" codificato dall'art. 1227, 1° co., c.c. di un dovere
generale di attenzione e diligenza, in base al quale il comportamento del
soggetto danneggiato contrario alla c.d. "ordinaria diligenza",
attraverso la mancata adozione della cautela e della prudenza atte a prevenire
o a ridurre le possibilità di avveramento del danno, può incidere sul nesso
causale, essendo idoneo, a seconda della gravità, a limitare o addirittura ad
escludere la responsabilità della P.A.
È onere della P.A. provare che l'evento dannoso sia
stato, in tutto o in parte, determinato dal comportamento stesso del
danneggiato, mentre sarà onere del danneggiato dimostrare il contrario (cass.
n. 7963/2012).
Il principio di autoresponsabilità viene, pertanto,
interpretato dalla giurisprudenza come corollario del principio di causalità,
secondo il quale il danno risarcibile è quello prodotto dal danneggiante,
escluso l'apporto generato dal comportamento della vittima (sia esso
commissivo, colposo o omissivo), causalmente imputabile alla stessa e non al
danneggiante.
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